Birraio dell’Anno a Firenze: 15 birre artigianali italiane da provare assolutamente
Indice dei contenuti
Comincio al contrario: con le considerazioni personali
Quest’anno, per la prima volta, il Birraio dell’Anno è stata una riconferma, grazie al secondo titolo guadagnato da Marco Valeriani di Hammer. Quanto segue è mera speculazione personalissima ma, se parliamo di riconferme, forse avrei preferito per primo il bis qualcuno della “vecchia guardia” (con tutto il rispetto) come Gino Perissutti di Foglie d’Erba oppure Agostino Arioli del Birrificio Italiano che sono sempre presenti nella rosa dei finalisti da quando esiste il concorso. Questa osservazione non vuole togliere niente alla vittoria meritatissima di Valeriani che fa birre spettacolari per qualità, pulizia, equilibrio e costanza. Autodomande: Quindi alla fine dei giochi sono contenta del premio? Sì. Bis a parte, chi avrei voluto che vincesse? Forse qualcuno che non ha mai vinto, come l’ottimo Mauro Salaorni di Birra Mastino che mi incanta sempre con le sue birre (peccato che a Firenze non si trovino spesso).
Il palmares di Birraio dell’Anno
Vediamo chi sono i vincitori precedenti. Nicola Perra (Birra Barley, vincitore nel 2009), Valter Loverier (Loverbeer, 2010), Gino Perissutti (Foglie D’Erba, 2011), Riccardo Franzosi (Montegioco, 2012), Luigi D’Amelio (Extraomnes, 2013), Simone Dal Cortivo (Birrone, 2014), Fabio Brocca (Lambrate, 2015), Marco Valeriani (Birra Hammer, 2016), Josif Vezzoli (Birra Elvo, 2017) e ancora Marco Valeriani (Birra Hammer, 2018).
Nota positiva
La qualità media delle birre è stata ottima. Non solo nel mio personalissimo giro di assaggi di cui andrò a parlare tra poco, ma proprio in generale. Non ho sentito nessuno che si sia lamentato. E in questo ambiente di appassionati ma criticoni all’ennesima potenza❤️, farsi tre giorni di festival senza intercettare lamentele significative, è di per sé una notizia pazzesca.
In effetti al Birraio dell’Anno è quasi scontato aspettarsi di bere più che bene: il Tuscany Hall ha ospitato le migliori produzioni italiane selezionate da gente esperta, con i birrai che portano sempre fusti in perfetta forma.
Due parole su Birraio dell’Anno
Birraio dell’Anno è una manifestazione partita in punta dei piedi dieci anni fa. Nelle prime edizioni i premi si attribuivano direttamente sul blog di Fermento Birra che ne è l’organizzatore. Con gli anni l’attenzione generale è cresciuta, così come l’evento intorno alla premiazione che oggi è un grande Festival della Birra Artigianale Italiana a tutti gli effetti, dove appassionati e tantissimi semplici curiosi si danno appuntamento per assaggiare le migliori etichette nazionali.
Quest’anno il successo di pubblico è stato nettamente maggiore rispetto all’anno scorso. Lo scrivo con sicurezza, senza aver letto numeri o altro, la maggiore affluenza è stata evidente così come il maggiore interesse generale.
Tra le novità mi è piaciuto lo spazio delle birre fuori concorso. All’inizio non ne ero convinta, temevo che avrebbe generato confusione in un pubblico generalista che ancora non ha ben presente come funzioni la gara, figuriamoci le dinamiche tra i birrifici in esposizione. Invece il tutto è stato ben gestito con uno stand unico a parte, dove ho assaggiato cose interessanti provenienti dalle regioni rimaste fuori dalle nomination.
Il giro di assaggi: le note di degustazione
Le note al mio giro di degustazioni sono incomplete, non ho scritto tutto quello che ho provato; tra chiacchiere e saluti continui, non è facile rimanere sempre sul pezzo. Mi dispiace soprattutto perché c’erano delle cose ottime che mi faceva piacere fissare qui per poi ritrovarle in futuro e che adesso già mi sfuggono. Tuttavia chiunque voglia lasciare i suoi suggerimenti e idee tra i commenti è il benvenuto.
Cominciamo con la deliziosa Biella Common di Birra Elvo, una California Common ambrata, fatta con lievito a bassa fermentato sui 20° per un tempo breve, metodo che gli dà esteri fruttati e facilità di bevuta. Le birre Elvo, come quelle di Foglie d’Erba e Mastino, sono birre fatte con acque con un residuo fisso molto basso, caratteristica che le rende leggere e al contempo rotonde. In altre parole: da bere a litri.
E infatti da Birra Mastino ho fatto più passaggi, specialmente per quanto riguarda l’ottima Monaco, amber lager ambrata che ho trovato semplicemente perfetta nel suo equilibrio. Qui ho bevuto una delle poche birre ad alta gradazione che mi sono concessa durante questo festival: la Teodorico, una baltic porter spaziale e pericolosissima (credo di averlo già scritto pari pari altrove) perché i suoi 9% rimangono ben celati sotto le eleganti nuance delle note maltate e vien voglia di berla una pinta dietro l’altra.
Tra le scure ho assaggiato la DDC Porter di Birra Perugia, chocolate porter con lattosio e fave di cacao dell’Equador. Le tostature passano dal naso al corpo, dove emergono anche le note dolci: tutta la morbidezza è ben bilanciata dalla giusta carbonazione. Di tutt’altro impatto è invece il naso luppolato e resinoso della Perujah, una session ipa dal corpo scorrevole e l’amaro a concludere in pulizia; semplice e ricca di aromi, proprio come devono essere queste birre.
Dal Lambrate ho bevuto l’elegante e pulita Tras in Camisa – ÀSS, la berliner Weisse coi lamponi, acidula e fresca, con un’ottima gestione della parte fruttata che le conferisce un sorso di classe.
Invece da Brewfist ho preso la pale lager, la dorata La Bassa, che avevo già assaggiato in bottiglia ed ero curiosa di provarla alla spina: l’ho trovata aggraziata dalle note dolci del cereale e al contempo beverina e dissetante.
Da Foglie d’Erba ho naturalmente bevuto la apa Babel, che trovo sempre armoniosa e semplice nalla sua ricercatezza, una tra le mie preferite in assoluto. Però vorrei mettere l’accento su un’altra birra del grande Gino Perissutti che a questo giro mi ha entusiasmata in modo particolare: la Hot night in the village, scurissima brown porter dove predominano la nocciola e il caffè d’orzo su un corpo morbido e scorrevole come solo l’acqua di montagna sa regalare, con una chiusura perfetta che nella sua lieve intensità offre anche degli spunti di gelato alla vaniglia/zabaione.
Da Marco Raffaeli, birraio di Mukkeller ho bevuto più cose, ma mi sono segnata solo la M.S.Mukkeller Smoke, rauchbier scurissima che ho trovato semplicemente ottima, con un grande equilibrio e l’affumicatura gentile ma allo stesso tempo intensamente aromatica. Invece da Porta Bruciata ho assaggiato una session ipa strepitosa: la Dusky Bay, che si presenta con un bouquet odoroso fruttato e resinoso e un livello di beverinità pazzesco.
Da Ritual Lab ho provato la Tangie, saison con succo di mandarino. Delicatissima a naso, con un bouquet particolare, ovviamente ben fruttato; bilanciata nella sua delicata complessità. Una bella sorpresa perché devo confessare di averla scelta solo perché, erroneamente, mi era stata presentata come session ipa al mandarino.
Poi ho fatto un po’ di assaggi dagli emergenti. Ovvero dai birrai che sono attivi da meno di due anni. Altavia mi ha deliziata con la Badani Anniversario, una splendida keller dove giustamente troviamo esaltate le note di crosta di pane date dai malti. Una di quelle birre da bere in quantità e soddisfazione. Dello stesso birrificio mi sono rimaste impresse anche la Scau, rauch col malto essiccato assieme alle castagne (a quanto ho capito nello stesso ambiente), con un’affumicatura rotonda e gentile rinvigorita da una carbonazione grintosa. Poi ho assaggiato anche la Deiva, bock con le note di caramello in bella evidenza, pulita al palato, solo qualche lieve nota ossidata (sorry) e infine carbonazione incisiva a chiudere in pulizia.
Da Bellazzi ho preso una cream ale, Fresh Cream, con luppoli freschi. Naso luppolato in gusto abboccato, scivolosa e pulita al palato.
Infine da Jungle Juice Brewing ho scelto la Ute, keller pils dorata. Crosta di pane, note di miele dei malti, carbonazione arzilla unita all’amaro per finire in bellezza.