Chiude RateBeer.com, un pilastro del mondo delle recensioni birrarie e simbolo della globalizzazione della birra artigianale
Tra una settimana chiude RateBeer.com, uno dei siti storici di recensioni di birre e, più in generale, uno dei simboli dell’epoca d’oro del movimento della craft beer che ci ha fatto compagnia e donato goduriose classifiche sul mondo artigianale durante gli ultimi vent’anni. Fondato nel 2000 da Bill Buchanan, RateBeer è partito come forum per condividere esperienze, discutere di birre e pubblicare recensioni. Col passare degli anni, è cresciuto fino a diventare una piattaforma globale per appassionati e professionisti della birra che ha avuto la forza di mettere insieme una comunità internazionale di beer enthusiasts. Per fare un paragone coi social: secondo me Twitter sta a Facebook come RateBeer sta a Untappd. Untappd è più giocattolone, più social, creato per divertirsi. RateBeer, invece, è più catalogo, forziere di dati, paradiso dei classificatori della birra e strumento utile per gente del settore. Su Ratebeer le classifiche avevano un’autorevolezza, un peso specifico che forse Untappd, per quanto popolare, non è mai riuscito a eguagliare.
Nei 20 anni di attività RateBeer ha accolto oltre 650.000 valutazioni di birre, 9 milioni di recensioni, e mappato 50.000 birrifici. Il sito è stato visitato da 20.000 utenti giornalieri, tantissimi. (Questi numeri vengono dall’essenziale The Taste Hunter: grazie Simone). I suoi database sono diventati sempre più completi, includendo schede dettagliate su migliaia di birre e birrifici. Con la sua chiusura, RateBeer si porta via un pezzo importante della storia recente della birra artigianale; per oltre vent’anni, il sito ci ha offerto uno sguardo panoramico e internazionale sul ‘fermento’ del mondo birrario.
Ripercorrendo gli archivi di Pinta Medicea, mi sono imbattuta in un articolo del 2015 dal titolo: “Un’italiana e 3/4 nelle classifiche di RateBeer”. Argomento: i risultati delle The Best Beers By Style Category del 2014. Ora, qui scatta un momento nerd, ma in quell’articolo parlo di due birre di un’era artigianale fa, un’epoca in cui alcune birre e birrifici italiani – oggi avviati su strade che allora sarebbero sembrate fantascienza – figuravano ai vertici delle classifiche mondiali di Ratebeer.
Nomi come Birra del Borgo e Birrificio del Ducato rappresentavano l’eccellenza artigianale di quegli anni dimostrandolo a livello planetario anche grazie a Ratebeer. In seguito, entrambi i birrifici hanno percorso la propria parabola ma in quel momento erano al top del mondo artigianale. Nel 2016, li ritroviamo ancora tra i protagonisti, con menzioni di altre birre-flagship come la Xyauyù Barrel, e la consacrazione di Archea Brewery come miglior brewpub italiano. In questi anni Archea ha mantenuto saldamente la sua posizione in classifica tra i primi e, giustamente, migliori brewpub nazionali. Comunque la si pensi, quelle classifiche di Ratebeer sono una testimonianza del livello altissimo raggiunto dall’Italia.
Anche la fortuna del Ma che siete venuti a fa’, il migliore locale di birra indipendente della prima scena birraria, esplode a livello mondiale proprio con il primo posto nelle classifiche di Ratebeer. Una consacrazione che portò l’Italia birraria sotto i riflettori globali, segnando un momento indimenticabile per la prima scena della birra artigianale nel nostro Paese.
Infine, una prece per il rater compulsivo. Figura bistrattata, spesso a ragione, una quindicina di anni fa era facilissimo trovare questi soggetti ai festival, intenti ad assaggiare in modo seriale e valutare decine e decine di birre. Una pratica spesso superficiale che forniva un giusto appiglio ai detrattori delle recensioni di Ratebeer. Una birra dietro l’altra, tipo catena di montaggio, e un attimo dopo il loro voto era online, forever. Una modalità di assaggio che cozza di brutto con il raccoglimento, la curiosità e la voglia di approfondire che caratterizza la degustazione quando è fatta seriamente. Almeno la degustazione come la intendo io e che piace a me, quella “a mente aperta” che ho imparato da Kuaska e da Fratoni e cercato di diffondere nel tempo anche con Pinta Medicea. La birra artigianale è un prodotto che racconta, e allora va saputa ascoltare e comprendere.
La ricchezza di Ratebeer è stata quella di aver riunito una community di appassionati senza frontiere, capaci di incontrarsi anche fisicamente in occasione di eventi e festival, condividendo recensioni di birre, costruendo quel vasto database globale di birrifici, birre e locali e dando vita alle mitiche classifiche annuali ‘The Best of…’, che ci permettevano anche di comprendere le proporzioni della birra artigianale italiana rispetto a ciò che accadeva nel resto del mondo.
Adesso che nella scena della birra artigianale tira un’aria da ultimo giorno di mare, anche la chiusura di Ratebeer assume quel gusto dolceamaro della consapevolezza, giusta o sbagliata, che l’estate è finita.