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Birre artigianali senza alcol: Botanic Baladin e un po’ di discorsi con Teo Musso sulle birre analcoliche

La birra analcolica e senza alcol in Italia

Negli ultimi anni, il mondo della birra è stato oggetto di una rivoluzione partita in sordina e poi diventata il trend del momento: la crescita esponenziale delle birre artigianali a basso o nullo contenuto alcolico. Il cosiddetto segmento No-Low Alcohol (NoLo). Se un tempo erano viste solo come un’alternativa di ripiego alle birre ‘normali’, oggi le analcoliche rappresentano una scelta sempre più consapevole e apprezzata dai consumatori.

Sempre più persone, soprattutto le nuove generazioni, fanno scelte attente al benessere, alle calorie e alla guida responsabile. Le birre low e senza alcol rispecchiano perfettamente questa mentalità.

Qui si inserisce anche il mondo della birra artigianale, che sta cominciando ad esplorare il settore delle birre a basso o nullo contenuto alcolico, dando vita a esempi interessanti della creatività dei nostri birrai.

E pochi giorni fa, io ho avuto la fortuna di poter conversare di birre analcoliche proprio con il più creativo di tutti: Teo Musso, che in questi giorni è uscito con una linea di birre analcoliche e artigianali davvero intriganti.

Due chiacchiere con Teo Musso sulle birre analcoliche e zero alcol

Durante lo scorso Pitti Taste ho avuto il piacere di scambiare qualche idea con Teo Musso del Birrificio Baladin (anche se, più che altro, ho ascoltato). È stato così gentile da dedicarmi del tempo per raccontarmi del suo progetto di birre artigianali analcoliche chiamato Botanic e, più in generale, dello stato della birra senza o con poco alcol in Italia.

Quello che segue è un resoconto degli argomenti toccati con Teo Musso.

Botanic, birre artigianali analcoliche Baladin
Botanic, il nuovo marchio di birre artigianali analcoliche di casa Baladin.

Botanic: il progetto di birre analcoliche di Baladin

Sono uscite le prime tre birre del progetto Botanic. Il progetto è iniziato circa cinque anni fa ed è dedicato alle birre artigianali analcoliche, ciascuna caratterizzata da una botanica predominante. Una botanica diversa per ciascuna etichetta, utilizzata in dry hopping, che caratterizza ciascuna birra. Un progetto che riunisce l’esperienza di Baladin non solo come birrificio, ma anche come produttore di bibite analcoliche di lunga tradizione. (Su questo torneremo più avanti.)

Dunque, tre birre, tre stili, tre sapori distinti: Blanche, Blonde Ale e IPA, ciascuna con una botanica lavorata a freddo. Il risultato? Tre birre intriganti all’assaggio e senza dubbio piacevolissime da bere. C’è ancora qualche dettaglio da affinare, ma il risultato è senza dubbio convincente. Tre birre a basso contenuto alcolico, ognuna con una forte personalità. E non è affatto scontato, almeno per la mia esperienza con le birre analcoliche. Le ho trovate tutte e tre adatte a un mercato sempre più interessato a proposte di questo genere.

Le tre birre Botanic: degustazione e caratteristiche

Botanic Blanche

Come dicevo, le ho assaggiate tutte e tre, iniziando dalla Botanic Blanche, speziata alla camomilla. Oltre al caratteristico sentore floreale di camomilla, emergono note di agrumate, con un amaro finale deciso –inaspettato per lo stile – risulta ben integrato nel bouquet e non stona affatto.

Botanic Blonde

Il secondo assaggio è stata la Botanic Blonde, caratterizzata dalla speziatura a freddo di Cannabis Sativa. Il suo aroma è, prevedibilmente, pungente e intrigante, mentre al palato è fresca, scorrevole, divertente da bere. I malti si percepiscono bene, mentre la nota erbacea della cannabis è dominante (forse un po’ troppo per il mio gusto). La bevuta, però, resta pulita e molto piacevole.

Botanic IPA

Infine, la Botanic IPA è giocata sugli agrumi: scorze e albedo di pompelmo e arancia, a cui si aggiunge la luppolatura aromatica, in cui spiccano note floreali. Suggestioni di erbe balsamiche accompagnano il sorso in ciascuna delle tre birre.

Uno degli aspetti che mi ha colpita positivamente è l’assenza di quei residui dolci che spesso affaticano la bevuta e che mi è capitato di trovare in altre birre artigianali low alcol, anche di recente. Teo Musso vuole che le sue birre siano vive, particolari, e in effetti riescono a superare quella sensazione di dolcezza che in molte analcoliche trovo stancante. E in più, hanno solo 70 calorie.

La prima produzione di Botanic è stata la Blonde, quella con la cannabis, uscita circa due anni fa, quando bere birra analcolica era considerato “da sfigati”. Così, a Musso viene l’idea di metterci la cannabis come modo per renderla più cool. Oggi non ce n’è bisogno: le birre analcoliche hanno conquistato il loro spazio commerciale e stanno vivendo una crescita senza precedenti. E il mercato è tutt’altro che marginale: in Spagna, per esempio, la birra low o senza alcol ha raggiunto il 14% della quota di mercato. La fetta di torta è diventata enorme e non si può più ignorare. Teo Musso prevede che nei prossimi anni l’Italia seguirà la stessa tendenza: se oggi la quota delle analcoliche è al 7-8%, il mondo artigianale italiano deve rispondere con un’offerta alternativa alle solite lager industriali. Il mondo artigianale italiano deve rispondere con una proposta alternativa che vada al di là della proposta delle industrie.

In questa strategia si inserisce il progetto Botanic di Baladin, che ha registrato il marchio anche negli Stati Uniti. Sarà interessante vedere come si evolverà.

Durante l’incontro, mi ha colpito l’enfasi di Teo Musso sull’importanza di un laboratorio di analisi interno. Secondo lui, è essenziale per garantire la qualità delle birre low alcol. Baladin, del resto, sforna anche tre milioni di soft drink all’anno, ovvero bibite piene di zucchero e analcoliche che sono esposte a un rischio di contaminazione altissimo. L’esperienza accumulata da Baladin in questo settore viene applicata anche alle birre artigianali analcoliche, che richiedono un controllo qualità “da paura”.

Il contributo tecnologico innovativo emerge anche nei macchinari utilizzati per il dry hopping, progettati per ottimizzare la resa aromatica e preservare i profumi della birra. Senza dimenticare il lievito delle Botanic, frutto di un’attenta selezione di saccaromiceti in laboratorio.

Una parentesi sullo 0.0 alcol, le analcoliche e la legge italiana

Un aspetto interessante emerso riguarda il tanto sbandierato “0.0” che caratterizza il marketing delle birre analcoliche industriali. Di fatto, è solo uno slogan, perché nemmeno le bibite sono fuori dallo zero alcolico. Un aspetto su cui non avevo mai riflettuto.

In realtà lo “0 alcol” è solo un claim pubblicitario: per i produttori di birra è difficilissimo rimanere sotto lo 0,5%, che è il limite legale per definire una birra “senza alcol”. In tutto il mondo, una bevanda senza alcol è definita tale se ha un contenuto alcolico inferiore allo 0,5%.

(Ad eccezione dell mondo arabo, dove si richiede l’assenza totale dell’alcol – e da lì nasce il tema dello 0,0. A “zero vero”, mi dice Teo, non ci si arriva usando i lieviti che non attenuano o altri sistemi validi per i mercati occidentali, poiché come detto sopra anche chi fa le bibite zuccherate non arriva a 0,0 alcol. Nel mondo arabo, o comunque in quelle parti del mondo arabo che richiedono lo 0 alcol, allora si usano sistemi a solventi per raggiungere lo zero alcolico.)

Birre analcoliche e la legge: cosa dice la normativa in Italia?

In Italia è più complicato di così, ça va sans dire. Tra 0,5 e 1,2 % si parla di birra analcolica e la legge (la stessa che definisce il perimetro delle birre doppio malto) impone comunque il pagamento delle accise. In pratica, una birra con un tasso alcolico tra 0,5% e 1,2% può riportare in etichetta la dicitura “non alcolica” o “analcolica”, ma è comunque soggetta a tassazione. E, dettaglio non irrilevante, non può essere definita “alcol free”.

La sfida anche tecnologica delle birre analcoliche: tra qualità e sicurezza

A livello produttivo, realizzare birre analcoliche è un processo costoso e complesso, specialmente per i piccoli birrifici. Serve un laboratorio interno perché – come dicevo – la produzione di queste birre richiede un’attenzione maniacale alla pulizia. Stiamo parlando di birre non pastorizzate, quindi più delicate.

Forse, suggerisce Musso, sarebbe opportuno riconsiderare la possibilità di pastorizzare le birre artigianali analcoliche. Oggigiorno, infatti, la legge italiana stabilisce che per essere definita “artigianale”, la birra non deve essere pastorizzata (più altre cose). Tuttavia, la produzione di birre analcoliche richiede un livello di igiene ancora più elevato rispetto agli standard già molto rigorosi dei birrifici artigianali. Le birre analcoliche artigianali sono una sfida, ma il futuro del settore passa anche da qui.

Ringraziamenti

Oltre a Teo Musso, ringrazio Carlo Schizzerotto (direttore del Consorzio Birra Italiana) per avermi chiarito molti dubbi sulle birre analcoliche e su quello che sta accadendo a livello legislativo in Italia e in Europa. Su Pinta Medicea, seguiranno altri pezzi sul tema birra analcolica artigianale che ormai ha catturato la mia curiosità.

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Francesca Morbidelli

Mi chiamo Francesca Morbidelli, sono tra i fondatori della Pinta Medicea. Dal 2007 scrivo di birra su questo blog e ne gestisco le varie emanazioni social. Sono docente e giudice in concorsi birrari da ben oltre un decennio, e collaboro sia con MoBI che con Unionbirrai. My beer resume (in English). Amministratrice del sito La Pinta Medicea. Contatti: francesca [at] pintamedicea.com - Twitter: @pintamedicea - LinkedIn Francesca Morbidelli.

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