Note dal Convegno Filiera Birra 2024 organizzato a Milano dalla rivista Imbottigliamento
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La filiera della birra: un convegno che guarda al futuro del settore
La filiera della birra italiana è un mondo in costante evoluzione, dove produzione, distribuzione e promozione sono fortemente interconnessi rispetto ad altri settori. È proprio per fare il punto su questo sistema complesso e in mutamento continuo che ogni anno a Milano si tiene il convegno Filiera Birra, organizzato dalla rivista Imbottigliamento dell’editore Tecniche Nuove che ci ospita ogni volta nel suo grattacielo a Milano Certosa.
L’edizione di Filiera Birra 2024, si è svolta pochi giorni fa, il 16 ottobre, ed ha confermato ancora una volta l’importanza di questo appuntamento come luogo di condivisione per i professionisti del settore brassicolo e, in generale, dei rappresentanti di tutta la filiera della birra italiana.
È stato il momento di dare una lettura dello stato delle cose, cercando di rispondere alle domande più urgenti. Che cosa c’è di nuovo nella birra italiana? E questo turismo brassicolo di cui si sente tanto parlare? C’è davvero la crisi che si dice? Eccetera, eccetera. Ecco, Filiera Birra è il posto giusto per raccogliere le informazioni più approfondite e originali su quanto sta accadendo nel mondo della birra italiana.
Siccome è stata una giornata densa, vorrei mantenere traccia dei punti salienti di Filiera Birra 2024 anche qui su PintaMedicea.com e trascrivo alcune delle note che ho preso nel corso della giornata, affiancate dai miei commenti e dalle foto più significative.
Apertura del convegno Filiera Birra 2024
L’evento è stato aperto da Paola Pagani di Tecniche Nuove Media e dal Prof. Giuseppe Perretti dell’Università di Perugia. Subito i temi chiave: l’importanza del settore brassicolo italiano non solo in termini economici, ma anche come patrimonio culturale e sociale. Maurizio Maestrelli, giornalista e scrittore, è stato il moderatore dell’incontro.
La voce dei consumatori: indagine sulle scelte
Il primo intervento del prof. Christian Garavaglia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha presentato una ricerca sulle scelte dei consumatori. Cosa cercano i clienti quando scelgono una birra artigianale? Quali fattori influenzano le decisioni di acquisto? I dati provengono da un campione di 1.021 individui, selezionati per rappresentare l’attuale situazione demografica italiana. A queste persone è stato somministrato un questionario online per capire l’interesse per i prodotti 100% italiani. Dal lato della produzione l’interesse c’è, ma vale lo stesso per i consumatori? Sì: più del 75% degli intervistati ha dichiarato di bere birra italiana almeno una volta a settimana.
Un altro dato che si sapeva già, o almeno che io già conoscevo, è la prevalenza del consumo di birra a casa su quello fuori casa: più del 64% del campione ha dichiarato di consumare la birra a casa. Questo è interessante perché (riflessione mia) fa capire quanto sia fondamentale per la birra artigianale dei piccoli birrifici essere presente nei posti dove la gente abitualmente compra le cose di tutti i giorni (= gdo), così da avere più probabilità di giocarsela coi grandi marchi su più terreni. Tra l’altro, molti consumatori hanno un atteggiamento ecumenico nei confronti della birra, dichiarando (oltre il 26%) di consumare sia birre artigianali sia industriali; percentuale che aumenta fino a diventare maggioranza se si considerano anche le rispettive tendenze (vedi immagine sopra).
Altri dati interessanti portati dal prof. Garavaglia delineano un profilo di consumatore più attento alla provenienza del prodotto e al modo in cui verrà consumato: il 57% dichiara, infatti, di scegliere la birra in funzione del cibo e il 60% dichiara di preferire la birra prodotta in Italia; la preferenza italiana è appannaggio dei consumatori più vecchi e con un reddito medio-alto, indipendentemente dalla frequenza di consumo.
Inoltre, il 46% è attento al concetto di sostenibilità, e anche questa sensibilità appartiene di più al gruppo di chi ha un reddito più alto. Invece un interessante 15% dice che le birre sono tutte uguali e sceglie di comprare in base al prezzo, se ci si pensa non è una percentuale alta, tutt’altro; non ho termini di paragone, ma sono convinta che la stessa domanda fatta anni fa avrebbe raccolto percentuali drasticamente più alte.
Un altro aspetto della ricerca sottolinea come il consumatore odierno sia abituato a parlare con disinvoltura di birra artigianale, birra italiana, birra locale, ingredienti, sostenibilità, di abbinamenti birra/cibo (e, come abbiamo visto sopra, lega l’acquisto della birra a cosa ci abbinerà come cibo). I consumatori più sensibili alla sostenibilità ambientale sono più propensi a preferire ingredienti coltivati localmente. In generale, i consumatori di birra preferiscono la birra italiana, ingredienti sostenibili e il prezzo non è il principale driver di scelta.
Mercati esteri e turismo brassicolo: le ovvie opportunità da cogliere
Dopo Garavaglia ci sono stati due interventi molto interessanti, forse i miei preferiti di tutto l’incontro, su due temi particolarmente cruciali.
La dott.ssa Brunella Saccone di ITA Italian Trade Agency ha esplorato le prospettive di espansione della birra italiana sui mercati esteri. Perché la nostra birra è il fanalino di coda (espressione odiosa lo so, ma qui rende bene l’idea) nell’export italiano. La birra italiana fa fatica a uscire negli altri paesi, sia per i motivi che sappiamo (il prezzo in primis) sia per altri motivi meno banali che la dott.ssa Saccone ha spiegato molto bene. Non che il prezzo sia banale, intendiamoci, però è la prima, spesso unica cosa a cui solitamente si pensa.
La birra sta faticando anche perché stanno cambiando i consumi a livello globale. Questo avviene anche a causa dei cambiamenti climatici. Stiamo assistendo a un mondo che va verso il no alcol, l’analcolico e la birra, secondo Saccone, ha un grande vantaggio rispetto al vino dealcolato: la birra senza alcol è buona ed è in giro da più tempo per cui c’è stato modo di perfezionarne le tecniche produttive. Aggiungo io che ci sono dei paesi insospettabili che hanno una lunga tradizione di produzione di birre senza alcol, mentre la stessa cosa non si può dire del vino; in un mercato senza alcol la birra parte con una marcia in più.
Tuttavia Saccone fa notare la frammentarietà del panorama della birra italiana, in cui una moltitudine di piccole aziende non ha la forza, non dico per sfondare, ma solo per entrare in certi mercati. Da noi non esiste una promozione strutturata della birra artigianale italiana, come fa la Brewers Association americana, per esempio. E, aggiungo io, la frammentarietà ci danneggia perché il risultato è che manca la presenza della birra italiana all’estero, se non si contano gli appassionati che la importano, per esempio Erik Lu in Cina, per il loro circuito di vendita o poco più. I dati dimostrano come le birre nostrane abbiano un potenziale ancora inespresso in molte aree del mondo.
A seguire, la prof.ssa Roberta Garibaldi, Presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, ha parlato di turismo, sottolineando come il turismo brassicolo rappresenti una leva di promozione non solo per i birrifici, ma anche per il territorio. Territorio ed enogastronomia rappresentano i principali interessi di chi visita il nostro Paese.
Il cibo diventa fondamentale specialmente per quella fascia di turisti cosiddetti repeater, ovvero le persone che ritornano più volte in vacanza da noi. C’è l’interesse per i prodotti locali, lo storytelling, ormai imprescindibile (anche troppo, secondo me), per vivere un’esperienza che consenta di immergersi nel territorio e nelle sue produzioni. Per quanto riguarda lo specifico della birra, ai turisti piace molto l’idea di fare la birra in birrificio e, in generale, interessano molto le commistioni tra birra, arte, cultura, musica.
Esistono attività che sono solo di interesse di turismo birrario, tipo l’Oktoberfest o l’Heineken Experience (che non so che cosa sia). Giusto, ma aggiungo che quando si parla di mondo artigianale tutto diventa più piccolo e più di nicchia: un Eurhop, tanto per dire il festival delle birre artigianali credo più grande d’Italia in termini di presenze e di proposte, è in realtà un evento minuscolo se comparato alle dimensioni dell’Oktoberfest.
Comunque, le esperienze di visita al birrificio e degustazione in loco stanno diventando un asset sempre più prezioso per attrarre turisti in cerca di autenticità e gusto. Non posso che essere d’accordo, sono più di vent’anni che praticamente faccio solo turismo birrario, anche se non l’ho mai chiamato così. Semplicemente vado in vacanza e cerco di fare cose di birra perché mi piacciono e interessano. E non sono la sola. Pinta Medicea riceve frequentemente richieste di suggerimenti su dove andare a bere a Firenze, molto spesso da parte di persone che hanno intenzione di trascorrere qualche giorno in città a vedere le solite cose belle ma che cercano anche pub consigliati per la scelta delle referenze e la cura del prodotto. Su questa scia che ho creato la pagina con i migliori pub di Firenze per bere birra artigianale che è una tra le più visitate di questo sito. Anche qui, come nel caso di Erik Lu che dicevo prima, le indicazioni sui migliori posti sono personali, scelte da me e pochi altri, non si tratta di una mappa istituzionale.
Valore economico e sociale: i numeri di AssoBirra
Poi è stato il turno del presidente di AssoBirra, Alfredo Pratolongo, che ha offerto una panoramica sul valore economico e sociale del comparto brassicolo. Praticamente ha confermato ciò che già sappiamo parlando con birrai e gestori di locali, ovvero che il mercato non sta andando benissimo e che il dato più rilevante è che va bene l’import di birre straniere verso l’Italia. L’export delle nostre birre invece non va. A livello reputazionale, la birra italiana gode di un’ottima considerazione all’estero, che la colloca al 2° posto dopo la Cechia nelle classifiche del gradimento. Gli stessi italiani pensano molto bene della propria birra (aggiungo io, in generale, noi italiani pensiamo sempre benissimo di tutti i nostri prodotti enogastronomici, non solo della birra).
Gusto, varietà di scelta sono i fattori che contribuiscono alla reputazione della birra. Benessere, cultura, autenticità e qualità, gusto e varietà sono i fattori che contribuiscono al posizionamento positivo della birra.
Tra i principali trend dei consumi italiani, Pratolongo chiarice un aspetto importante: i consumi si sono fermati, mentre il consumo procapite è aumentato. Com’è possibile questo? Il consumo pro capite è salito, ma la popolazione totale è diminuita, per questo il mercato si è ristretto. Nel 2023 i consumi in Italia sono diminuiti di quasi il sei per cento (-5,85%) ed è cresciuta l’importazione dall’estero di birre straniere che in molti casi sono economicamente più competitive.
Inoltre il 65% delle vendite proviene dalla GDO dove, in linea di massima, si trovano le referenze più economiche (e, aggiungo, ho già sottolineato quanto io ritenga questo canale fondamentale per i piccoli birrifici). Inoltre Pratolongo ha detto che esiste una correlazione tra aumento delle accise e riduzione del mercato; le aziende fanno meno promozione a causa della leva fiscale che gli sottrae risorse. Tra l’altro, l’abbiamo scritto tante volte, le accise sulla birra sono discriminatorie poiché la birra è l’unica bevanda da pasto gravata da accise. Quanto pesa la birra sul PIL italiano? I numeri parlano chiaro: il settore genera occupazione, innovazione e rappresenta una parte significativa dell’export agroalimentare.
Promozione e cultura: dalla tradizione all’innovazione
Dopo Assobirra è stato il turno di Unionbirrai. Gli interventi di Vittorio Ferraris, Simone Monetti e del birraio piemontese Silvio Bertero. UB ha evidenziato l’annoso problema di comunicazione quando si parla di turismo brassicolo e di quanto manchi un canale condiviso. (Aggiunta mia: me ne rendo conto dalla quantità di persone che approdano su questo blog cercando di costruirsi un viaggio che comprenda anche la birra, ma non solo ecc.).
Hanno fatto notare che manca anche l’aggettivo accattivante per definire il turismo della birra, che possa competere con l’ottimo “enogastronomico”. Mi permetto i miei due cents, tanto qui su Pintamedicea.com sono in casa mia: che ne diciamo di turismo grastrobirrario? A me suona bene “gastrobirrario”.
Tornando all’intervento di Unionbirrai, Simone Monetti ha ripetuto l’importanza dello storytelling e di saper raccontare la propria attività. E di quanto sia fondamentale imparare a farlo (credo Unionbirrai organizzi dei workshop in merito). L’intervento è sato animato poi da Silvio Bertero del birrificio piemontese Curtis Canava che ha raccontato come hanno fatto ad attrarre persone e a creare un bel giro di turisti che frequentano la loro struttura. Ha raccontato di aver attivato vari servizi, tipo il parcheggio gratis per i camper, guide cicloturistiche, percorsi di trekking e creazione in zona di un albergo diffuso.
Mi ha interessata, oltre all’esperienza in sé di Silvio, il metodo che traspariva dalle sue parole: se si vuole cercare di ampliare il proprio bacino di clienti al birrificio (ma ovunque, direi) bisogna conoscere il proprio territorio, i propri vicini, valorizzarli e proporli ai turisti. Bisogna anche conoscere la propria clientela, capire da dove arriva di che tipo è, cercando ci capire che cosa serve per attirarli, di che tipo sono e accoglierli nel migliore dei modi. C’è un grosso lavoro da fare per il birrificio e mi rendo conto che non sia nelle possibilità di tutti.
Infine lo spazio di Teo Musso e di Carlo Schizzerotto del Consorzio Birra Italiana in cui hanno messo in luce l’importanza di promuovere la nostra birra artigianale, enfatizzando come la birra sia anche patrimonio culturale. Il connubio tra tradizione e innovazione è la chiave per competere sul mercato globale. Teo Musso ha detto che la birra deve creare appeal; il birrificio Baladin ha 9.000 visitatori paganti all’anno. Tanti sono quelli che vanno a vedere dove si fa la birra a Piozzo, come la si produce e da dove arrivano le materie prime. Il Baladin, millemila anni fa, è stato il primo impianto di produzione dove ho visto mostrate ai visitatori le materie prime con cui si fa la birra, cosa affatto scontata all’epoca (primi anni duemila o giù di lì). Baladin produce ormai da tanto il proprio luppolo e malto che copre la quasi totalità del fabbisogno del birrificio. Teo Musso, ma l’ho sentito in tante altre occasioni fare lo stesso discorso, ha sottolineato quanto i tempi della natura siano diversi da quelli produttivi e quanti anni servano per poter avere una buona produzione di luppolo da usare nelle proprie birre. Non tutti i birrifici hanno questa possibilità, così i primi di novembre a Roma ci sarà un grande evento sui luppoli italiani, in cui i birrai potranno provare ciò che viene prodotto in Italia in termini di luppoli (Giornata nazionale del luppolo 2024). Inoltre Musso e Schizzerotto hanno annunciato il progetto di realizzare una nuova malteria in Italia.
Purtroppo dopo l’intervento di Teo Musso, ho dovuto cominciare i saluti per poi andare a prendere il treno per tornare a Firenze e mi sono persa le ultime cose che erano interessantissime perché si è parlato di sostenibilità e inclusione: dal campo al bicchiere. La sessione “Dal campo al bicchiere” è stata approfondita da Matteo Bartolini (CIA Agricoltori Italiani) e Nazarena Cela (Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo), che hanno discusso di sostenibilità e iniziative sociali legate alla birra di economia carceraria. L’intervento della dott.ssa Cela è partito da una domanda: produrre birra può essere un atto di inclusione sociale? A quanto pare, sì, e con impatti positivi notevoli.
Correndo verso la stazione, oltre a dispiacermi per aver perso l’ultima parte, mi sono rordinata le idee. La giornata è stata proficua e stimolante. L’ho già fatto sui social, ma voglio farlo anche qui: grazie a Paola Pagani per l’invito.