Il luppolo in Italia (parte 2)
Sono stata alla presentazione del libro “La Botanica della Birra” di Giuseppe Caruso. L’evento si è svolto a Roma, nella Biblioteca della Camera dei Deputati ed è stata l’occasione per ascoltare interventi significativi sul luppolo in Italia e sui progetti in atto a tulela della filiera. Ho diviso l’articolo in due parti, questa è la seconda, la prima parte invece la trovi qui.
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Un po’ di numeri sul mercato della birra in Italia
L’intervento della coordinatrice del CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Katya Carbone. Qui la prima parte.
Citando uno studio della Fondazione Birra Moretti sul valore della filiera della birra in Italia, la dott.ssa Carbone ha evidenziato che l’ottima salute del settore birra riguarda tutta l’industria, non solo il segmento artigianale.
La filiera della birra genera 9 miliardi di valore condiviso (senza contare le esportazioni). Nel 2018 ha contribuito allo 0,52% del pil e allo 0,93% del gettito fiscale italiano. A livello occupazionale conta più di 90.000 dipendenti con un grande coinvolgimento nel settore artigianale di giovani under 35 lungo tutto l’indotto.
La birra artigianale
L’art. 35 del ddl 154 del 2016 è la prima legge a definire il termine legale di birra artigianale. L’articolo 36 è dedicato alla filiera del luppolo e impegna il Ministero a sostenere i progetti di ricerca; da qui il progetto Luppolo.it.
Nonostante la legge, l’Italia continua ad essere molto indietro. Ad aggi, infatti, la quasi totalità delle materie prime per fare la birra viene importata dall’estero.
Le cifre disegnano un quadro abbastanza indicativo. Per quanto riguarda il malto d’orzo, negli ultimi tre anni sono stati fatti progressi. Nel 2016 circa il 70% del malto per la birra era d’importazione, oggi siamo scesi al 50%. Nello stesso lasso di tempo l’importazione di luppolo è passata dal 100% al 98%.
Quel 2% di produzione interna di luppolo è un piccolo passo, lo si deve soprattutto ai birrifici artigianali che possono esaltare il legame con il territorio e il km zero delle loro produzioni. Il CREA con il progetto Luppolo.it intende legare la produzione della birra al territorio, lavorando sulla qualità delle materie prime italiane.
Qualche anno fa «si parlava di birre 100% made in Italy, adesso si parla di birre 100% territoriali» ha detto la dott.ssa Carbone che ha impostato la sua ricerca coinvolgendo direttamente 40 aziende agricole sul territorio nazionale. Ognuna ha aderito in modo volontario e successivamente i coltivatori si sono riuniti fondando l’Associazione ALI dei produttori di luppolo.
Per dovere di cronaca, la prima azienda produttrice di luppolo in Italia è Italian Hops Company nel modenese che ad oggi ricopre un ruolo fondamentale nella produzione nazionale e che sta sperimentando le prime varietà di luppolo autoctono.
In cosa consiste il progetto Luppoli.it?
Ce ne aveva parlato tempo fa anche Silvia Amadei di Agrilab Campagnano in occasione del secondo Convegno Nazionale sul Luppolo.
Il primo obiettivo del progetto è creare un’anagrafe nazionale dei produttori, mappando le aziende agricole italiane che coltivano luppolo. Il secondo obiettivo è attivare un primo monitoraggio fito-sanitario, sia per le fitopatie sia per le patologie legate agli insetti dannosi.
L’ecosistema è sano, ci tranquillizza Carbone, ma sono state già rilevate delle vulnerabilità potenziali su cui dovrà concentrarsi la ricerca futura.
Un punto critico si trova nell’acquisto dei rizomi su Internet. La maggior parte dei produttori, infatti, li compra all’estero, rifornendosi da siti web che non riportano informazioni fitosanitarie e varietali.
Il produttore non sa di preciso che cosa ha acquistato e poi piantato nella sua terra e che influirà sul territorio circostante con tutti i pericoli del caso.
Nel settore birra si può ragionare in termini di terroir?
L’esperimento è stato il brassaggio di una ricetta con Cascade in due versioni: una con il luppolo proveniente dalla Toscana, l’altra dal Lazio. Stesso luppolo, stessa ricetta. Con un’unica differenza: luppolo cresciuto in due parti d’Italia. I panel di assaggio hanno evidenziato le diversità tra i tue prodotti: prevalenza di sentori speziati/agrumati in una birra e floreali nell’altra. Niente di inaspettato, aggiungo io, però è interessante che ci siano studi sull’influenze del terroir nella birra.
Luppolo pianta officinale
Il luppolo è una pianta officinale, veniva usato dagli Egizi per curare le malattie. È una pianta interessante anche dal punto di vista farmaceutico.
Tuttavia il 98% del luppolo nel mondo viene impiegato nella fabbricazione della birra a cui contribuisce in ben 4 modi: per l’aroma, per l’amaro, per l’azione antisettica e per stabilizzare la birra grazie ai polifenoli.
Inoltre il luppolo possiede grandi quantità di xantumolo la cui attività anticancerogenica è stata provata da diversi studi presenti in letteratura.
Luppolo autoctono
Il progetto prevede un programma di breeding per trovare delle varietà italiane di luppoli da birra. Su alcune varietà sono stati valutati sia il profilo amaricante che la qualità degli oli essenziali. Tra i campioni analizzati ne sono stati individuati 2 con componenti chimici interessanti nel profilo aromatico degli oli essenziali: betamircene e betafarnesene. Entrambi, ma soprattutto il secondo, sono quegli elementi chimici che contraddistinguono i luppoli nobili da birra. In altre parole, in luppoli spontanei italiani è stato rilavato materiale genetico che assomiglia a quello dei luppoli nobili.
Luppolo conservante
La lavorazione del luppolo prevede che i 2/3 del raccolto siano scarti. La ricerca verte anche su questo problema e sono state create pellicole sprimentali, una specie di domopack naturale e contenente estratto di luppolo che ha avuto notevoli risultati nella conservazione della cosiddetta IV gamma, ovvero la frutta, la verdura e, in generale, gli ortaggi freschi confezionati e venduti pronti per il consumo.
La prima parte dell’articolo.