Conosciamo le fermentazioni in legno di Ca’ del Brado
Un paio di giorni fa ho avuto l’occasione di assaggiare le birre di Ca’ del Brado, alla presenza di Andrea Marzocchi, uno dei quattro birrai. Ne è uscita fuori una degustazione interessante, dove ho potuto approfondire il lavoro e la filosofia di questo giovanissimo microbirrificio che fa prodotti ottimi e davvero originali. Ringrazio Max Vallini e il suo Joshua Tree Pub di via della Scala a Firenze (mappa dei pub fiorentini) per aver organizzato questo bell’evento e per avermi invitata a partecipare. Le birre di Ca’ del Brado si possono bere regolarmente al Joshua, alla spina e in bottiglia.
Ca’ del Brado, “casa del bradipo o del brado” in dialetto bolognese, è una cantina brassicola a Rastignano, pochi chilometri a sud di Bologna, che produce 300 hl all’anno di birre fermentate in legno.
La produzione di questo microbirrificio si svolge in un locale di 250 mq che comprende la bottaia e il laboratorio del lievito, ma che non è dotato di un impianto di bollitura. In produzione, infatti, fanno uso di mosti semplici che acquistano da BrewFist appena finisce la cotta. Per l’Agenzia delle dogane, però, sono produttori a tutti gli effetti, e infatti comprano il mosto ad accisa sospesa che poi ricade su di loro. In altre parole, loro comprano un semilavorato che poi rendono birra attraverso le fermentazioni in legno. Altro dettaglio da nerd della birra: non lavorano con botti di primo passaggio, perché rilascerebbero troppo legno. Le botti gli servono per la microossigenazione e per creare la microflora, e solo in ultima istanza per conferire note lignee alla birra, ma sempre in modo molto delicato.
Ca’ del Brado è dunque un birrificio a tutti gli effetti con un bel progetto alla base. Nonostante sia un’azienda molto giovane, la sua particolarità produttiva la rende una realtà unica nel panorama nazionale, anche in termini di riconoscibilità del marchio; le grafiche in bianco e nero delle bottiglie sono belle, piene di dettagli che ricordano le suggestioni delle antiche acqueforti seicentesche.
La degustazione
Le prime due birre possono venir considerate come delle “entry level” al mondo sour e le ho trovate deliziose. Dai nomi simili, entrambe giocano con due tradizioni birrarie: la Piè Veloce Brux è come concezione più americana, con la luppolatura di amarillo, fermentata con brettanomiceti del tipo Bruxellensis; la Piè Veloce Lambicus è più di stampo inglese, la base del mosto è pale, la luppolatura Stirian Golding, fermentata con brettanomiceti del ceppo Lambicus. Sono brettate già dalla fermentazione primaria che avviene nella botte grande dove rimangono per circa tre/quattro mesi, un tempo breve rispetto alle altre produzioni del birrificio, per questo motivo il nome in onore di Achille. In realtà la “serie Piè veloce” conta quattro versioni: Piè veloce Lambicus, Piè veloce Brux e le loro sorelle col dry hopping in acciaio a freddo: rispettivamente Styrian Golding per la Lambiucus e Cascade per la Brux.
Le ho trovate entrambe molto equilibrate, con bouquet vario ma ordinato, con note gradevolmente rustiche, e la leggera acidità che contribuisce alla gran freschezza del sorso. L’alcolicità è gestita benissimo, entrambe hanno sui 7,5% che non si sentono minimamente.
Il terzo assaggio è stato di Nessun dorma, la saison della casa, caratterizzata dall’acidità lattica, il ph basso, note di legno ben percepibili, sentori sulfurei (per me un po’ troppo marcati). Una birra che gioca molto sull’evidenza dell’acidità lattica e sul livello di carbonazione sostenuto che le dà una bolla fine, risultando molto fresca nel bicchiere. Luppolatura continentale, fa una decina di mesi di cantina e, se ben ricordo, alla fine viene rabboccata con un 15% di Saison fresca, proprio per rinvigorire le note Saison che nel legno alla lunga si indeboliscono.
Poi abbiamo assaggiato la Invernomuto, un blend – ovvero un mix di due birre diverse, Piè Veloce Brux e Nessun Dorma – pensato per valorizzare la varietà della cantina. L’obiettivo è unire la complessità della Nessun Dorma, con le note lignee e la parte fresca e vivace della Piè Veloce Brux. Pescando da tini differenziati sono riusciti ad ottenere una birra che per certi versi può ricordare una gueuze, con la parte fruttata e acidità complessa, versante lattico, legno, rusticità e al tempo stesso eleganza nella struttura.
Ca’ del Brado lavora anche la frutta: ciliegie, albicocche, pesche. La lavorano “alla belga”, utilizzandola fresca, appena colta dall’albero; la usano su affinamenti e maturazioni in tino già complete, cioè viene messa nel tino solo quando la birra è già pronta, lasciandocela non più di un paio di mesi.
L’ultimo assaggio è stato proprio a tema frutta: l’uva. La Û Baccabianca, “uva” in dialetto bolognese, è una delle due iga che hanno in produzione. La fanno con il 10% di uva grechetto gentile messa in macerazione col mosto e brettata fin dall’inizio: si fa sei mesi e passa di botte assieme alle bucce. Il risultato è un gran profumo e un sorso grintoso, dove tannini, l’ossidazione discreta e le note di legno vengono incorniciati dalla secchezza che stimola la bevuta.