Blandification, perché il gusto americano per le birre insipide è destinato a durare a lungo
Titolo originale: Why bland American beer is here to stay di Ranjit Dighe, professore di economia alla State University of New York Oswego. Per gentile concessione di The Conversation. Translated by Francesca Morbidelli.
Sebbene negli ultimi decenni la popolarità della birra artigianale sia cresciuta in maniera vertiginosa, la stragrande maggioranza degli americani continua a preferire le lager industriali.
All’incirca 1 birra su 8 tra quelle vendute in America è artigianale, mentre le 3 birre che hanno più successo sul mercato sono: Bud Light, Coors Light e Miller Lite. Tre birre leggere, di cui solo Bud Light detiene una quota di mercato maggiore di tutte le artigianali messe assieme.
Negli ultimi decenni, mentre la varietà di birre disponibili sul mercato si ampliava drasticamente, i gusti della maggior parte dei consumatori americani rimanevano gli stessi. Una tendenza di cui hanno preso atto anche i produttori artigianali che hanno iniziato ad adattare le loro birre di conseguenza. Un articolo uscito di recente sul Chicago Tribune riporta, infatti, come i birrifici artigianali stiano mettendo in commercio birre meno luppolate e impegnative per attirare la maggioranza degli americani che continua a preferire le lager industriali.
In altre parole, i produttori artigianali stanno brassando birre più insipide per accontentare i gusti appiattiti del pubblico. Ma da dove arriva questo amore degli americani per le birre sciape? La risposta potrebbe trovarsi nella situazione dell’economia politica durante gli anni del Proibizionismo e nella storia del Movimento Americano della Temperanza. Si può ipotizzare, infatti, che entrambi i fenomeni abbiano influito significativamente nella formazione del gusto comune per le birre “banali” che ritroviamo ancora oggi.
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La “lager mania” si scontra con gli astemi
A differenza dei paesi europei a tradizione birraria che vantano preferenze e stili che si sono costituiti ed evoluti nel corso dei secoli, l’America non possiede una tradizione birraria propria.
La classica birra americana è una “pilsner con l’aggiunta di surrogati“, ovvero una birra in cui una parte dell’orzo maltato viene sostituita con mais o riso. Il risultato è una bevanda più leggera, più chiara, meno luppolata rispetto alle sue controparti di paesi come l’Inghilterra, la Germania e il Belgio.
Nell’America Coloniale predominavano le birre in stile Inglese – le ale -, ma le bevande preferite rimanevano sempre rum e whisky. All’inizio del XIX secolo si affermò anche il sidro – più facile da preparare in casa – che riscosse più successo della birra.
Il mercato americano della birra conobbe un periodo di crescita durante la grande ondata di immigrazione tedesca (link non più funzionante: http://www.beerhistory.com/library/holdings/beerbarons.shtml) della metà del XIX secolo. Le lager tedesche furono un successo immediato, anche perché la bassa fermentazione dava come risultato un prodotto più costante e conservabile rispetto all’alta fermentazione. Le lager erano anche più dolci delle ale, sebbene quelle dell’epoca fossero ancor più scure e vigorose delle lager che sarebbero diventate popolari in seguito e che conosciamo oggi.
Ma la “lager mania” si combinava con un’altra tendenza diffusa. Il movimento della temperanza, infatti, non solo cercava di ridurre l’abuso di alcol ma attaccava anche il semplice bere con moderazione, allo scopo di sradicare completamente il consumo di alcolici dalla società. Dal 1830 al 1845 il movimento per la temperanza si allargò a macchia d’olio, mentre sempre più americani si impegnarono volontariamente all’astinenza dall’alcol e dal sidro.
Dal canto loro, i birrai tedeschi avevano sempre sostenuto (link: https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/00076791.2015.1027691) che di per sé la birra fosse una “bevanda per la sobrietà” a differenza degli alcolici più forti, come il whisky. Infatti le società europee per la moderazione del consumo di alcol tendevano a considerare la birra come relativamente innocua.
Ma gli attivisti del movimento americano – che ormai erano diventato più un movimento per l’astinenza intrecciato alle istanze del protestantesimo evangelico – la vedevano diversamente e consideravano la birra una bevanda pericolosa.
Gli anni successivi al 1850 videro la prima grande spinta per le leggi sul bando dell’alcol a livello statale, che finirono per essere approvate in una manciata di stati dell’Unione. Quelle leggi non durarono per una serie di motivi (inclusa la Guerra Civile), ma contribuirono a far capire ai produttori che avrebbero dovuto lavorare davvero sodo per convincere i consumatori sull’inoffensività della birra.
Perfetta per un drink di mezzogiorno
Negli anni Settanta dell’Ottocento, la birra americana sarebbe diventata ancor più dolce con l’avvento di un nuovo tipo di birra chiara: la pilsner boema. Più chiara, leggera e blanda delle lager bavaresi che in precedenza avevano dominato il mercato, le pilsner sembravano più pulite, più sane, più stabili e meno inebrianti.
Gli americani “vogliono una birra trasparente di colore chiaro, gusto delicato e non troppo amara” riporta un articolo del 1878 pubblicato dalla rivista specializzata Western Brewer.
Birrai e bevitori che cercavano di sottrarsi all’attenzione delle società di temperanza, scelsero naturalmente le pilsner leggere, preferendole alle lager scure. Ma la birra light era anche adatta ad accompagnare le lunghe ore di lavoro degli operai americani, molti dei quali mangiavano nei saloon tra un turno e l’altro. Rientrare al lavoro ubriachi avrebbe potuto farli licenziare, quindi se in pausa pranzo volevano farsi un paio di pinte, quelle più leggere erano la soluzione ideale.
È un momento storico in cui nelle grandi produzioni di birra pragmatismo e gusto personale iniziano ad intrecciarsi tra loro. Nel 1876 Anheuser-Busch lanciò sul mercato con grande successo la Budweiser, in cui il riso aggiunto la rende ancor più leggera. Per non parlare della Pabst Blue Ribbon, con la sua aggiunta di mais è diventata parte del gusto nazionale.
Nel 1916, Gustave Pabst, figlio del fondatore della Pabst Blue Ribbon, Frederick Pabst, dichiarò all’United States Brewers Association che “la preferenza per le birre leggere è più forte in quei paesi dove anche il sentimento anti-alcolico è più forte“. E infatti le società di temperanza cominciarono ad alzare la voce sempre di più.
Il proibizionismo lascia il segno
Verso la fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo, le società della temperanza erano ritornate in auge. Campagne ben organizzate dalla Woman’s Christian Temperance Union e dalla Anti-Saloon League portarono a una nuova ondata di divieti statali e locali, in ultima istanza furono il passo decisivo verso il bando nazionale.
Il divieto costituzionale nazionale, come decretato dal 18° Emendamento e dalla Legge Volstead, è stato devastante per l’industria della birra a breve termine. Ma a lungo termine ha contribuito a consolidare una nazione di bevitori di birra insipida.
Stime attente dell’economista Clark Warburton hanno rilevato che il consumo di alcol durante il Proibizionismo potrebbe essere aumentato per vino e alcolici, ma sicuramente quello della birra diminuì di due terzi, complice la maggiore difficoltà per nasconderla. È inoltre probabile che il Proibizionismo abbia contribuito a instradare una generazione di giovani ai cocktail, allontanandoli dalla birra e dal gusto per le birre più forti e corpose.
Nel marzo del 1933, otto mesi prima che il 21° emendamento abrogasse il Proibizionismo, il Congresso modificò la Legge Volstead per consentire la produzione di birra e vino “non intossicanti” a bassa gradazione alcolica, con un massimo di 4% alcol.
La nuova birra annacquata fu un grande successo per il pubblico che non assaggiava una birra legale dal 1917. Le birre scure e le ale avevano rappresentato circa il 15% del mercato precedente la Prima Guerra Mondiale. Ma già nel 1936 la loro fetta era scesa fino al 2%-3%.
Nel 1947 i ricercatori degli Schwarz Laboratories analizzarono il contenuto di alcool, luppolo e malto delle birre USA degli Anni ’30 e ’40, rilevando che molte di queste birre post-proibizionismo erano “troppo luppolate“, “troppo pesanti e troppo piene” per i gusti dei consumatori dell’epoca. Infine il rapporto suggeriva ai birrai di ridurre drasticamentele le quantità di luppolo e malto usati in produzione, per andare incontro alle richieste del mercato.
Inoltre i birrai e i bevitori più incalliti venivano ostacolati anche dalle leggi post-Proibizionismo. Le politiche statali e federali avevano con efficacia vietato l’homebrewing. Inoltre la maggior parte degli stati richiedeva l’adozione di un sistema “a tre livelli” composto da birrai, distributori e dettaglianti, che rendesse più difficile la produzione e la commercializzazione delle birre speciali.
La “blandification” della birra americana continuò per altri settant’anni. Durante la Seconda Guerra Mondiale, le razioni delle truppe americane al fronte contenevano birra col 4% di alcol, esponendo di nuovo un’altra generazione alle gioie della birra insipida. Durante questo periodo il contenuto di luppolo e malto contenuti nella birra diminuì drasticamente e costantemente, lasciando ampio spazio ai succedanei (mais e riso, n.d.t.). Il contenuto di luppolo si è dimezzato nel periodo dal 1948 al 1969 e il successo della birra “leggera” negli Anni ’70 ha accelerato ancor di più la tendenza. In generale, dal 1970 al 2004, il contenuto di luppolo nelle birre americane è diminuito del 35%.
Ancora oggi, nonostante il successo fenomenale della birra artigianale, le birre leggere sono ancora dominanti. La diffusione della birra artigianale in USA è una storia straordinaria, ma forse dovremmo smettere di chiamarla “rivoluzione”.
Per adesso, le birre insipide continuano a detenere il primato.
di Ranjit Dighe
Titolo originale Why bland American beer is here to stay di Ranjit Dighe, professore di economia alla State University of New York Oswego (tw). Per gentile concessione di The Conversation, la traduzione in italiano è mia.
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