Tesi di laurea: birrifici artigianali italiani e l’evoluzione della comunicazione nel settore brassicolo
Francesco Triffiletti si appena laureato in “Comunicazione” all’Università di Padova con una tesi sui birrifici artigianali italiani e l’evoluzione della comunicazione nel settore brassicolo (relatore prof. Marco Bettiol). Tempo fa mi aveva contattata per farmi alcune domande sulla comunicazione online di Pinta Medicea e il risultato è un capitolo della tesi completamente dedicato alle nostre attività di “propaganda birraria”! La settimana scorsa Francesco (nel frattempo ha aperto uno studio creativo a Padova: opificiolamantinianonimi.com), mi ha gentilmente inviato una sinossi del suo lavoro che posso pubblicare qui sul sito:
Indice dei contenuti
Introduzione
Perché parlare di birra artigianale in Italia? Perché il settore della birra artigianale in Italia, è in controtendenza rispetto all’attuale periodo economico, pur rimanendo un mercato di nicchia ha degli ottimi indici di crescita assestando il consumo di birra artigianale attorno al 2% del consumo del paese. Perché è un settore giovane in rapida evoluzione, in Italia nasce nel 1996 con i primi pionieri del settore ed ora gode di un’ottima rilevanza a livello internazionale. Ho voluto quindi analizzare le caratteristiche del settore attraverso la ricerca diretta confrontandomi con tutti i possibili interlocutori, che costituiscono il settore.
Per dare una visione di insieme sono partito con un breve cenno alla storia della birra, in Italia e nel mondo, successivamente ho preso in analisi le varie forme di produzione (homebrewer, brewpub, beer firm e birrifici) e il canale di distribuzione della birra, anche attraverso la partecipazione ad uno dei più importanti eventi brassicoli del momento: Mastro Birraio Ferrara 2013. Infine mi sono concentrato sulla comunicazione in rete attraverso i blogger più esperti e riconosciuti. In particolare è stata molto significativa la mia partecipazione diretta a un concorso per l’ideazione del packaging di una nuova linea di birre per comprendere a fondo cosa vuole comunicare un birrificio artigianale.
Primo capitolo
La birra artigianale è un prodotto vivo e mutabile con una conservazione limitata nel tempo che si contraddistingue da quella industriale sostanzialmente per il tipo di lavorazione che subisce. La birra industriale viene pastorizzata e filtrata, con lo scopo di migliorarne la conservazione, ma che finisce per standardizzarne il gusto.
La birra artigianale in Italia non gode ancora di una definizione specifica in termini di legge e quindi non si può utilizzare il termine birra artigianale in etichetta che è divenuto negli ultimi anni, erroneamente, sinonimo di qualità per i più. Ciò ha spinto al perfezionamento, da parte dei birrifici, del packaging e dello storytelling.
Le prime attività brassicole in Italia aprono nel 1996 e sono sostanzialmente 3: Baladin in Piemonte, il Birrificio Italiano e il Lambrate in Lombardia. Questi 3 pionieri del settore, accompagnati da Lorenzo Dabove (in arte Kuaska), uno tra i più celebri e apprezzati beer sommelier al mondo, si fecero promotori del movimento brassicolo italiano. Un fervente sviluppo dell’homebrewing, che si rivelò nel tempo una vera fucina di talenti, unito alla fiducia delle associazioni come Slow Food, che hanno creduto fin da subito in questo nuovo segmento, hanno accompagnato la crescita del settore fino ai risultati odierni.
Secondo capitolo
La base della scala produttiva è composta dall’homebrewer, ovvero il produttore casalingo che produce per uso personale. Dietro a questo termine c’è un mondo fatto di blog, community, riviste specializzate e moltissima letteratura dedicata, per lo più straniera.
Altro gradino della scala produttiva sono i brewpub, locali che producono birra per la somministrazione interna, spesso abbinato ad attività di ristorazione. Anche questi sono stati spesso passaggio intermedio prima dell’apertura di birrifici. Il vantaggio fornito dal canale di vendita interno è quello di dare una certa stabilità produttiva a discapito del volume complessivo che è ovviamente ridotto rispetto al volume produttivo di un birrificio.
Il gradino successivo è la beer firm, ovvero quell’azienda commerciale, che priva di impianto di produzione si appoggia a quelli di altre aziende per realizzare i propri prodotti. La beer firm si può limitare a prendere in affitto l’impianto, farsi realizzare birre su ordinazione oppure progettare la ricetta e realizzarla dall’inizio alla fine.
Raggiungiamo la cima della scala produttiva con i birrifici, o micro birrifici, artigianali, che producono, imbottigliano e infustano la loro birra. Questi se producono almeno il 51% dell’orzo impiegato nella produzione di birra, diventano birrifici agricoli ed hanno diritto ad agevolazioni fiscali ed altri benefici.
Ho approfondito il tema birrifici analizzando un evento brassicolo molto importante: Mastro Birraio Ferrara, una rinomata fiera di settore alla quale partecipano molti birrifici da ogni parte d’Italia. Ho intervistato alcuni di questi birrifici e ho avuto modo di comprendere il percorso comune che molti birrifici hanno intrapreso prima di iniziare questo tipo di produzione, che si delinea ripercorrendo buona parte degli scalini della scala produttiva. Ho percepito l’interesse verso la vendita online attraverso i vari shop; ho delineato gli usi dei social network, in particolar modo come utili canali di vendita alternativi, promotori e aggregatori per eventi, mezzi per creare contest creativi e per ricevere feedback in grado di migliorare la produzione. Ho parlato con chi ha sfruttato collaborazioni nate in rete per migliorare le ricette. Ho saggiato l’utilità di partecipare a manifestazioni del genere per farsi conoscere, per fare cassa e per diffondere la cultura della birra.
Un caso emblematico è quello di Birradamare di Roma che nasce brewpub nel litorale di Ostia e diventa birrificio nel 2010. Lo stabilimento si trasforma in azienda agricola e inizia ad adottare una strategia di comunicazione specifica per i diversi mercati e per le diverse tipologie di consumatori. Vengono creati due marchi che permettono la distribuzione di birre in Italia e all’estero, specialmente Europa, USA, Australia e Giappone. Nasce così anche Birra Roma, che vuole interpretare con vigore la provenienza geografica tipica e si dedica al mercato nazionale, mentre Birradamare con ricette pensate per i più esigenti è indirizzata a un mercato internazionale.
Altro caso degno di nota è Birra Olmo che parte come beer firm e da poco inizia la produzione con il proprio impianto. Hanno scelto di comunicare secondo metodi di marketing non convenzionale mirati a coinvolgere il consumatore, organizzano molti eventi e contest creativi, ma organizzano anche cene e degustazioni (nella olmo house). Sostengono la rivoluzione della birra artigianale e si definiscono un birrificio anarcoartigianale.
Per affrontare la questione della distribuzione prendiamo in analisi il report realizzato da Unionbirrai nel 2011, in collaborazione con Altis dell’Università Cattolica di Milano, sul settore della birra artigianale italiana. Da questa analisi emerge un profilo di micro birrificio che si affida per il 65% alla distribuzione diretta, 18% distribuzione indiretta, al 14% per la mescita in loco, mentre la grande distribuzione con 1.5% assume un ruolo del tutto marginale. Dati che mi sono stati confermati sia dai birrifici sia dai distributori. Uno di questi è Birra di Classe che insieme ad Andrea Camaschella, autore per Slow Food alla guida alle birre d’Italia, organizza eventi, degustazioni con abbinamenti di prodotti del territorio, corsi ecc. Sempre con l’aiuto di Camaschella sono state redatte schede di ogni prodotto, con relativa video “recensione” fruibile attraverso smartphone grazie al qr-code stampato sull’etichetta.
Terzo capitolo
I blogger sono stati presi in esame perché entrano di diritto a far parte degli influence del settore. Riescono a canalizzare migliaia di visualizzazioni sui loro post e veicolare moltissimi messaggi: sono gli uomini della comunicazione online. Sono attivi promotori della cultura della birra online. A dimostrazione di ciò il numero crescente di visualizzazioni ai blog che è cresciuto con la diffusione del prodotto.
A completamento di questo percorso di ricerca, ho intrapreso un concorso per la progettazione del packaging di una nuova linea di birre per vedere e toccare con mano le esigenze comunicative di un birrificio artigianale. Insieme ad un esperto grafico, abbiamo cercato di creare qualcosa di minimalista e sobrio che riuscisse a nobilitare il prodotto pur mantenendo come tratto distintivo l’artigianalità del prodotto stesso. Nasce così “Terracotta”. Terra richiama il mondo contadino, i suoi prodotti buoni, sani e di qualità. Cotta invece è il procedimento cardine della produzione brassicola. La vasta gamma di birre prodotte ha reso necessario uno studio di immagine che ne renda immediato il riconoscimento in quanto prodotto specifico dell’azienda. Si è fatto un lavoro di semplificazione per giungere ad un messaggio diretto, facile da memorizzare. Il progetto propone di affidare la necessaria riconoscibilità delle varie birre solo a variazioni cromatiche. Non si sono proposti nomi di invenzione o altro: ciascuna birra è indicata con il nome della tipologia (es Pils, Abbazia ecc) e riporta i caratteri specifici che la contraddistinguono.
Concludo citando Lorendo Dabove, beer sommelier, “non esiste la birra, esistono le birre” pertanto un obbiettivo della comunicazione è trasmettere le caratteristiche intrinseche del prodotto, il valore aggiunto, incentivando la cultura della birra.
Ho constatato quanto predetto dai dati dei report passati, ovvero che il consumo è in continuo aumento intrinsecamente legato al diffondersi della cultura brassicola, diffondersi della conoscenza del prodotto, e quindi alla comunicazione dei birrifici. È lecito dire quindi che il consumo è aumentato anche perché è migliorata la comunicazione dei birrifici.
Nonostante una buona propensione all’utilizzo della rete, la comunicazione permane ancora troppo artigianale, mai valorizzata da una persona addetta unicamente allo scopo. Quindi i siti risultano spesso migliorabili mentre per quanto riguarda i social, tra aggiornamenti e interazioni, la cose vanno molto meglio. Si punta prima di tutto su un buon storytelling, su una particolare cura per il packaging affinchè valorizzi il prodotto, e si incentiva la cultura birraria in generale. Ma la comunicazione permane strettamente legata agli eventi e alle manifestazioni e quindi legata strettamente al territorio. È un mercato di nicchia e rimarrà tale.
Confrontando i dati è presumibile dire che il trend di diffusione del prodotto possa perdurare nel tempo; possiamo invece finalmente sfatare il mito che la birra artigianale sia esclusivamente una moda passeggera.
Credo sia interessante confrontare nei prossimi anni lo sviluppo della cultura birraria interpellando anche le associazioni di categoria e gli enti che forniscono servizi e corsi d’istruzione per il settore che si stanno sempre più diffondendo.
Salve Giancarlo, per qualsiasi domanda o curiosità sono a Vostra piena disposizione. Potete commentare qui di seguito o contattarmi a info@opificiolamantinianonimi.com
Non lo so, prova a contattare l’autore (c’è un link più sopra)
Suppongo sia impossibile poter consultare l’intera tesi, giusto?